domenica 22 novembre 2009

Il caso della Manifattura Tabacchi di Rovereto

La storia di quella che è qui l'oggetto principale della nostra attenzione storica, la vicenda della Manifattura Tabacchi di Borgo Sacco, racchiude in sé molte storie le quali, per certi versi, non sono del tutto terminate. In questo nostro lavoro, abbiamo cercato di guardare alla storia della tecnica in una dimensione il più possibile attuale e sempre riconducibile al presente, dal momento che il nostro vincolo più importante è stato – nei limiti di quella che deve essere una completa ricostruzione storica - quello di dare il più possibile risalto agli ultimi cinquantanni. Il nostro lavoro va, innanzitutto, nella direzione di completare l'analisi di un luogo fondamentale del patrimonio industriale del nostro territorio; questo luogo non può che essere tra quelli più interessanti della nostra regione per l'importanza che esso ricopre dal punto di vista dell'«archeologia industriale» e della memoria dei nostri anziani. Ancora oggi questo luogo rimane, infatti, nella vivida memoria della città di Rovereto e finisce con il rappresentare un capitolo che non può mancare all'interno della storia industriale ed economica del Trentino.
La scelta di edificare la fabbrica del tabacco a Sacco è indice di quanto la città di Rovereto e l'intera zona della Vallagarina godessero di una posizione di particolare privilegio nei rapporti con l'amministrazione centrale austriaca, ma è anche dovuta a gravi problematiche di carattere occupazionale, legate alla forte crisi del settore serico, che si tentava in questo modo di arginare. La decisione è seguita a decenni di accese discussioni e di forti pressioni esercitate dai comuni di Sacco e di Rovereto. Borgo Sacco rappresenta in questo momento solamente un simbolo della floridezza economica che quel piccolo borgo può avere raggiunto nel periodo in cui godeva del monopolio del trasporto delle merci sull'Adige da Bolzano a Verona. Riguardo al commercio e al trasporto fluviale di legname e merci, terminato attorno alla metà del XIX secolo con la costruzione della linea ferroviaria, agli abitanti di Sacco è riservato sin dal Cinquecento il diritto esclusivo di condurre le zattere sul fiume. Il piccolo comune vive, infatti, degli introiti derivanti dai dazi imposti alle merci che transitano nel suo porto; la costruzione della ferrovia avrebbe messo in ginocchio l'economia di questo borgo. Il borgo di Sacco è situato, inoltre, nel centro della produzione del tabacco e la popolazione è dotata anche di buone conoscenze tecniche.
Attorno alla metà del 1851 si cominciano a demolire i vecchi edifici esistenti sull'area destinata alla costruzione e si procede poi con il livellamento del terreno e l'operazione di sterro per le fondamenta.


Durante i lavori, venne distaccato dalla fabbrica di Trento e installato nel palazzo dei Conti Bossi-Fedrigotti, un laboratorio di fabbricazione sigari per l'addestramento delle maestranze locali (queste donne che furono le prime a lavorare nella nuova Manifattura, venivano proprio per questo chiamate “palaze” -testimonianza di Speranza Magnani).
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Nello stesso anno cominciano i lavori per la costruzione della imperiale regia Manifattura tabacchi di Borgo Sacco la quale, per molti decenni, rappresenta l'industria trentina con la maggiore capacità di assorbimento di manodopera. Il fabbricato nasce da un progetto dell'ing. Latzel della direzione generale dei lavori di Vienna.


Terminati i lavori di costruzione degli edifici urgeva in primo luogo l'installazione della forza motrice per azionare le macchine necessarie alla fabbricazione dei tabacchi da fiuto e cioè, pile, molini, bagnatrici, mescolatrici, ecc. A tale scopo veniva utilizzata la roggia (canale industriale) che, deviata da torrente Leno in prossimità del Castello di Rovereto, attraversava la città, fornendo forza motrice a parecchi opifici e scorrendo poi verso Sacco passava sotto la nuova Manifattura tabacchi in canale sotterraneo, per gettarsi, dopo altri 300 metri di percorso, nell'Adige in località Moja.
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La Manifattura Tabacchi di Rovereto entra in funzione nel 1854-1855 con due laboratori di 220 operaie l'uno; con la crisi dell'industria tessile, il caso della imperiale regia Manifattura Tabacchi di Borgo Sacco rappresenta, e lo sarà anche per gran parte del XX secolo, l'unico esempio di azienda industriale nella provincia.


Tra il 1850 e il 1870, nel Distretto di Rovereto, c'erano 200 filande, in cui erano impiegati 8.000 lavoratori e 35 filatoi dove lavoravano 1.600 persone. Nel 1870, la manodopera impiegata nei campi di tabacco vicini alla fabbrica di Sacco si aggirava sui 1.200, che salivano a 1.680 nel 1906.
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L'anno successivo nasce a Rovereto la società di Mutuo Soccorso per gli Artigiani e e Operai, ma questa organizzazione non è, in Trentino come in tutta Italia, che l'espressione della tendenza al paternalismo presente all'interno della classe al potere; la costruzione di una fabbrica di tali dimensioni ha rivestito un ruolo fondamentale per la formazione di una solida classe operaia e la costituzione di un sindacato che, per ragioni storiche, è in prevalenza di matrice cattolica. Nel 1896 nasce la Società Operaia Cattolica, a dimostrazione del peso che hanno all'interno delle classi subalterne, soprattutto femminili, la Chiesa e le sue filiazioni.
La fabbrica si snoda in tre articolazioni: un fabbricato per la lavorazione, un magazzino adatto a tenere le greggi ed infine un fabbricato al cui interno si potesse rendere efficace la macera delle foglie del tabacco. Inizialmente la lavorazione si sviluppa attorno a quattro prodotti: il sigaro Virginia (Virginia comuni, Esportazione, Speciali, Imperiali); tabacchi da fiuto (Scaglia di lusso, nostrano fino, radica paesana, foglia di levante, scaglia fermentata, scaglia naturale); produzione di estratto di tabacco (che viene fatto con i residui del tabacco – quasi l'8 % nella produzione dei sigari – e utilizzato come antiparassitario in agricoltura); sigarette a mano (produzione sperimentale che viene poco dopo tempo abbandonata). La produzione maggiore è senz'altro quella dei Virginia che a poco a poco assorbe tutte le altre produzioni minori (Virginiosa, Sigari Portorico, Esteri e Esteri misti).
Nel 1859 si producono mensilmente già 50 quintali di tabacco da fiuto, 50 quintali di tabacco da fumo e 500.000 sigari vari.
Mentre la preparazione del trinciato e della polvere da fiuto è già all'origine meccanizzata, per tutta un'altra serie di attività legate alla produzione del sigaro, quali la scostolatura e lo spulardamento, la meccanizzazione non è in grado di sostituire l'attività manuale delle tabacchine. Le attività di produzione dei sigari e quella del loro confezionamento rivestono una grande importanza all'interno del ciclo produttivo della Manifattura durante il XIX secolo e richiedono, inoltre, una notevole pratica manuale. In queste mansioni assume, dunque, un particolare rilievo la manodopera femminile; questa nuova figura di operaia specializzata finisce con il conferire un maggiore rilievo alla presenza femminile dal momento che proprio alle donne viene affidata la parte più delicata del lavoro manifatturiero.
La città di Rovereto è invasa in questi decenni da un esodo continuo di lavoratrici provenienti dalla Vallagarina e dai principali paesi della valli circostanti, Brentonico, Trambileno e Vallarsa. Inoltre esiste il problema dell'attraversamento del Leno, il quale non è di trascurabile importanza per le lavoratrici della Manifattura che giungono dai paesi circostanti; questo viene affrontato dalla stessa direzione della Manifattura. L'idea di costruire un ponte per il solo passaggio pedonale, comincia a concretizzarsi nel 1874; alle lavoratrici viene chiesto, nella misura di un soldo al giorno, di concorrere alla spesa per la costruzione ed il mantenimento del ponte e le trecento donne che giornalmente ne avrebbero dovuto usufruire, accettarono. El pont dele zigherane
4, come viene immediatamente denominato, viene inaugurato nel 1877 alla presenza della principessa Gisella d'Asburgo-Lorena.
Le ragazze che vengono da lontano sono costrette a rimanere fuori casa fino al sabato pomeriggio. In questo senso, le conseguenze che tale migrazione fornita dalle campagne e dai paesi di montagna ha nel fragile tessuto urbano di Sacco e Rovereto sono quelle di una grossa crisi degli alloggi; Rovereto passa, infatti, da un rapporto di 1 casa per 12 abitanti nel 1880 a 1 casa per 16 abitanti nel 1910, con un forte rialzo dei prezzi d'affitto su tutto quanto il territorio cittadino, che incide in modo rilevante sul costo della vita.
Attorno alla Manifattura si sviluppano comunque una serie di attività legate soprattutto alle prime fasi della lavorazione della foglia, la coltivazione e la raccolta della pianta. Il 70% di ciò che viene lavorato all'interno della Manifattura viene coltivato nella bassa Vallagarina e soprattutto nei dintorni di Mori, Ala e Rovereto.
A Borgo Sacco rimane con il passare del tempo solamente la produzione di sigarette Nazionali Esportazione e quella del sigaro toscano; quest'ultimo è composto da tabacchi della varietà Kentucky; la confezione del toscano, sebbene fosse facilitata dall'introduzione di nuovi macchinari, come il taglierino a pedale, viene eseguita attraverso lo stesso procedimento utilizzato per quella dei Virginia.
Nel giugno del 1996 scade il rapporto di cooperazione produttiva della Philip Morris con il Monopolio dello Stato il quale viene, in seguito, rinnovato sino al 31 gennaio 1998; il 27 luglio del 2000, la Manifattura Tabacchi di Borgo Sacco diviene una proprietà dell'Ente Tabacchi Italiani, nato nell'agosto del 1998 e destinato a diventare, nell'arco di soli due anni, un'azienda a capitale privato.
I passaggi successivi alla fine del Monopolio, dopo l'accoglimento delle direttive comunitarie, sono tali da non poter più far conto sulle provvidenze pubbliche e sul sistema dei bassi salari. Ciò segna la fine delle concessioni di manifesto e delle concessioni speciali, cosa che comporterà ulteriori processi di modernizzazione.
Nel marzo del 2001 viene firmata un'ulteriore proroga della convenzione, che esiste dal 1992, tra Eti e Philip Morris, ma la situazione non è semplice dal momento che “l'Eti produceva la maggior parte delle sigarette Usa che poi finivano sul mercato italiano” e, allo stato attuale di cose, controlla solamente il 30% del mercato nazionale, contro il 60 % della Philip Morris.


(…) la Manifattura lavorava sempre meno per il mercato interno a favore delle multinazionali estere. Nel 1986 il 65 % delle sigarette che uscivano dalle aziende finivano sul mercato nazionale, nel 1998 la quota era ridotta al 37 %.
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Il 18 dicembre del 2003 l'Antitrust da il via al processo di acquisizione di Eti s.p.a., al quale lo stabilimento di Borgo Sacco fa riferimento; il 16 luglio dello stesso anno il Ministero dell'Economia cede l'intera struttura alla British Italian Tobacco, branca italiana della British American Tobacco. La vendita a Bat è condizionata al mantenimento dei livelli occupazionali per un periodo non inferiore al triennio in capo all'acquirente e alla garanzia da parte dell'Eti s.p.a. di una determinata quantità di commesse. Per mantenere in vita la Manifattura di Bologna, in seguito alla perdita della quota di Philip Morris, la Bat deve togliere produzione agli opifici di Rovereto, Lecce, Chiaravalle e Scafati; il centro manifatturiero per la lavorazione del tabacco di Bologna è quello che viene maggiormente colpito dall'abbandono di Philip Morris ed infatti passa da 244 a 162 dipendenti, mentre la produzione scende da 11.600.000 Kg a 3 milioni di Kg. La situazione di Rovereto è per il momento migliore: la produzione passa in un anno da 6.100.00 Kg a 5.100.000 Kg e gli operai licenziati sono 17. Nel 1999 la Manifattura di Borgo Sacco offre lavoro a 270 operai e nel 2004 questi sono solamente 154.
Sino al 2 novembre del 2008, la Manifattura di Borgo Sacco, la quale mantiene ancora oggi intatta la sua struttura originale, diviene una delle quattro sedi espositive di una tra le più importanti biennali europee di arte contemporanea, Manifesta 07. La Manifattura Tabacchi di Borgo Sacco ha chiuso ma, per non dimenticare le zigherane, è nato un comitato che tra le proprie finalità ha quello di valorizzare tutti i documenti che costituiscono l'archivio della Manifattura, documenti acquisiti dal Comune di Rovereto e conservati alla Bibioteca Civica “G. Tartarotti”, assieme a quello di raccogliere i fondi per realizzare un monumento in ricordo di queste donne.

Sulle ceneri di questo opificio roveretano sta nel frattempo cercando di nascere un'altra realtà; il progetto si chiama «Hub Rovereto» ed è una novità partita da alcuni giovani imprenditori e ricercatori universitari, con l'interazione di alcune imprese sociali e cooperative, la quale ha lo scopo di sostenere e promuovere dei progetti innovativi in termini di edilizia sostenibile, di gestione del territorio e di fonti rinnovabili. Il consiglio di amministrazione è presieduto da Gianluca Salvatori ed è composto da Stefano Robol e Diego Loner.




1 AA.VV., Il ciclo del tabacco. La «Manifattura Tabacchi» (1854-1978): alle origini della classe operaia roveretana, in, “Classe. Quaderni sulla condizione e sulla lotta operaia”, n. 18, anno XI, dicembre 1980 p. 63
2 AA.VV., Centenario della Manifattura tabacchi di Rovereto, Tip. Baldazzi, 1955, p. 12
3 A. Gerola, I 150 anni del Gigante. Storia della Manifattura Tabacchi di Rovereto attraverso immagini e testimonianze, Edizioni Osiride, 2004, p. 12
4 “Zigherana”, che deriva dal termine dialettale zigaro = sigaro, significa confezionatrice di sigari.
5 A. Gerola, Op. cit., p. 159

Introduzione all'Archeologia industriale

Questa disciplina nasce negli anni cinquanta e sessanta in Inghilterra, dove la deindustrializzazione e l'abbandono dei luoghi produttivi che erano stati il simbolo della rivoluzione industriale fanno emergere la necessità di una tutela di quel patrimonio storico; il giornalista e scrittore inglese Kenneth Hudson è ritenuto il maggiore divulgatore di questa disciplina che, come egli stesso tiene a specificare, non può godere di totale autonomia dal momento che essa si intende presentare come punto di incontro tra metodi ed interessi diversi.

Dal punto di vista metodologico l'archeologia industriale degli inizi era, come si è detto, vera e propria archeologia, seppure esercitata senza una vera e propria attività di scavo, perché il suo unico riferimento erano i resti materiali dell'età industriale, l'ossatura esclusiva della disciplina. (…) Se in Inghilterra gli archeologi industriali dei primi periodi rivolgevano una spiccata attenzione verso gli aspetti tecnologici del monumento, cioè quelli relativi alla sua costruzione, in altri contesti, come quello italiano, i primi passi dell'archeologia industriale sono stati dominati da una visione esclusivamente storico-architettonica (…). 1


Possiamo affermare che una prima maniera di considerare l'archeologia industriale si riduce “sostanzialmente alla funzione di registrazione, di catalogazione dei monumenti industriali, funzione resa ancora più positiva ed essenziale dal timore e dalla consapevolezza dei rischi di distruzione, quasi sempre concretizzatisi, che correvano edifici, macchine e paesaggi industriali” 2.
L'archeologia industriale, applicata al fenomeno della meccanizzazione e quello della razionalizzazione, si occupa in generale della storia industriale ma è in grado di offrire la giusta attenzione allo studio delle forme architettoniche degli stabilimenti, l'analisi dei macchinari e delle forme di organizzazione del lavoro e delle produzioni ed infine del contesto ambientale e sociale entro cui si sviluppa il processo di industrializzazione.


In fondo, l'archeologia industriale ha per oggetto le testimonianze più caratterizzanti della civiltà delle macchine, ed è nostro compito scegliere quali testimonianze affidare per campione ai posteri; provvedere alla memoria storica e non affidarla soltanto al caso, alle forze della natura. (…) Siamo consapevoli che promuovere al rango di monumento gli oggetti, i territori, le fabbriche, i paesaggi dell'archeologia industriale, cozza contro la nozione più convenzionale della tipologia del monumento così come si è configurata attraverso lo stesso processo di rivalutazione che viene dal secolo XIX, cioè il monumento religioso, civile, artistico (…). 3


Il concetto di monumento industriale porta a privilegiare, soprattutto, una certa attenzione estetica ed architettonica rivolta al manufatto industriale; quello di area industriale è, invece, un efficace strumento per tenere presente la totalità dell'ambiente circostante, al fine di “evidenziare le interrelazioni più o meno dirette tra le risorse e la loro utilizzazione industriale, tra innovazione, impatto, intervento industriale e condizioni ambientali preesistenti” 4.
Queste realizzazioni, le quali rimangono vive nella continua evocazione del loro passato, devono essere catalogate e descritte, seguendo la prassi più tipica delle indagini di tipo archeologico. Gli stessi limiti cronologici, precedentemente, rappresentano un problema notevole per il semplice fatto che impongono all'archeologia industriale “di non uscire dagli ambiti, un po' ristretti, compresi tra la rivoluzione industriale settecentesca e la recente rivoluzione informatica”
5.
L'archeologia industriale nasce in Italia attraverso il primo Convegno Internazionale di Archeologia Industriale, organizzato a Milano dal 24 al 26 giugno del 1977.


Sono gli anni da noi del successo di Braudel, dell'interesse per la storia della vita comune, quella non scritta contrapposta alla storia esclusivamente politico-diplomatica. E non trascurerei l'interesse tutto italiano per lo studio delle tradizioni popolari e del mondo contadino: E sono anche gli anni in Italia dell'abbandono da parte dei monopoli industriali dei grandi complessi di tipo ancora ottocentesco, del rifiuto operaio e poi del tramonto rapido della catena di montaggio, e della crescente reazione della gente all'ultimo stadio della società tecnologica. 6


Nelle parole dello storico dell'arte Eugenio Battisti, sono questi elementi che spiegano il rapido fiorire di pubblicazioni sull'archeologia industriale nel nostro paese.
Sono pochissime le aziende che affrontano i problemi riguardanti la conservazione delle strutture dismesse e, ancora meno, quelli della salvaguardia del patrimonio documentario amministrativo e tecnico; in Italia, a partire dagli anni ottanta, cominciano le prime ricerche in questo settore e, progressivamente, aumentano le pubblicazioni specializzate.
Nel suo ampio studio sul capitalismo pre-industriale a livello mondiale, Fernand Braudel insiste molto su alcuni degli elementi riguardanti la storia del lavoro che stanno alla base della riflessione storica sulla tecnica; l'analisi del concetto di «fabbrica» e le osservazioni rivolte alla situazione pre-industriale europea rappresentano un momento di particolare interesse per il discorso che noi intendiamo intraprendere. Il modello della «fabbrica meccanizzata», la quale dispone della potenza dell'acqua corrente e successivamente del vapore, si accosta perfettamente alla realtà del secolo XIX.


Si potrebbe pensare che la manifattura si diffonda per propaggine dall'interno all'esterno, via via che cresce; in realtà, avviene piuttosto il contrario, quando si pensi alla genesi stessa della manifattura. Sovente, in città, è lo sbocco di reti di lavoro a domicilio, il luogo dove, in ultima istanza, si perfeziona il processo di produzione. (…) Dunque sono una serie di operazioni finali quelle che vengono raccolte in un edificio destinato in seguito a crescere. 7


Riportando la riflessione di Braudel nel tracciato del discorso nostro di un opificio che si occupa della lavorazione del tabacco, il forte legame che almeno fino ad un certo periodo rimane con la campagna e la vita agricola che lo circonda è indicativo di quanto si debba parlare più correttamente di «manifattura», cioè di una fabbrica che in uno stesso stabilimento concentra tutta la manodopera, ma lo si debba fare con qualche riserva. La necessità da parte dello Stato oppure, come avviene successivamente di un privato, di potere accrescere la produttività e migliorare la qualità del prodotto spingono nella direzione del lavoro di fabbrica; lentamente il legame con il mondo contadino, il quale rimane stretto anche dopo la costruzione della Manifattura di Borgo Sacco, si va dunque recidendo.


L'industrializzazione comporta infine una mutazione delle strutture mentali collettive e quindi la ricerca archeologico-industriale avrà per oggetto non la civiltà materiale, ma anche l'intera storia degli uomini in società (…). 8


L'analisi economica e tecnica del prodotto, grazie alla quale è necessaria la comprensione della realizzazione dello stesso oggetto materiale, nel momento in cui incontra il problema dell'organizzazione del lavoro non può che rivolgersi alla questione della psicologia del lavoratore e quella della società che lo circonda. Gli stessi oggetti materiali si fanno in questo senso “portatori di messaggi che, travalicando il dato materiale, tendono ad evocare suggestioni relative alla storia della mentalità e della società” 9.
Come sottolinea poco prima Giorgio Pedrocco nel medesimo saggio apparso nel 1991 introduttivo al volume relativo all'archeologia industriale dell'Emilia-Romagna e delle Marche, lo stesso irrigidimento all'ambito industriale appare, inoltre, fortemente riduttivo per questa disciplina la quale deve continuamente fare i conti anche con altri settori economici; nel nostro caso sono di notevole interesse quello agricolo ed il settore manifatturiero ed artigianale. Il concetto della interdisciplinarietà è, dunque, centrale, non solo sotto il profilo della temporalità, dal momento che compiere un indagine archeologica dell'industria non significa limitarsi ad una semplice descrizione dei dati materiali, ma al compimento di un lavoro di questo tipo devono necessariamente contribuire una serie di altre discipline: la storia politica e la storia economica, la storia della tecnica e quella del lavoro, l'analisi delle trasformazioni territoriali assieme a quelle della società e della sua mentalità, si intrecciano ed abbracciano assieme qualsiasi discorso si voglia compiere su di un oggetto dell'archeologia industriale.
Non bisogna mai trascurare il carattere dell'archeologia industriale intesa come conquista dell'uomo; da qualsiasi punto di vista l'argomento sia trattato, dunque, è l'uomo l'oggetto principale della nostra curiosità.



1I. Tognarini, A. Nesti, Archeologia industriale. L'oggetto, i metodi, le figure professionali, Carocci editore, 2007, p. 158
2Ivi, p. 146
3A. Negri, M. Negri, L'archeologia industriale, Casa editrice G. D'Anna, 1978, p. 125
4 I. Tognarini, A. Nesti, Archeologia industriale. L'oggetto, i metodi, le figure professionali, Carocci editore, 2007, p. 164
5G. Pedrocco, Archeologia industriale. I segni e il patrimonio, in, AA.VV., Archeologia industriale in Emilia Romagna-Marche (a c. di G. Pedrocco, P. P. D'Attorre), Amilcare Pizzi Editore, 1991, p. 12
6 E. Battisti, Archeologia industriale. Architettura, lavoro, tecnologia, economia e la vera rivoluzione industriale (a c. di F. M. Battisti), Jaca Book, 2001, p. 31
7 F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII). I giochi dello scambio, Giulio Einaudi Editore, 1981, p. 323
8G. Pedrocco, Archeologia industriale. I segni e il patrimonio, in, Op. cit., p. 12
9 Ibidem